Al di di quello che potrebbe apparire dal titolo o dall’illustrazione, questo è un libro per il tuo Natale. “Pazzia, andata e ritorno – Braccato dalla droga, salvato dalla nostalgia” é la storia di Tommaso Erione, protagonista e autore della sua biografia, alla quale ho collaborato lasciandomi completamente coinvolgere. Anche perché Tommaso lo lo conosco da quasi 50 anni… Il libro è anche il frutto della collaborazione dei miei amici Pier Luigi Pezzini e suo fratello Renato.
Tommy (o Tom) per gli amici, lavora oggi come cuoco in una comunità terapeutica del Torinese. Questo libro è il traguardo di un lungo cammino, cominciato tra le ombre della dipendenza, della vita di strada e della detenzione. Un’esistenza tormentata, ma mai del tutto spezzata. In questo libro autobiografico, Tommaso racconta senza filtri le cadute e le risalite, la solitudine e il conforto inatteso, il dolore e la nostalgia per il bene il ricevuto. Al centro di tutto, il legame con quegli amici più grandi che non lo hanno mai lasciato solo, e la scoperta – sorprendente e salvifica – di una forza interiore che sembrava perduta e che lo ha guidato nel difficile cammino verso la salvezza. Un racconto crudo, ma attraversato da una luce tenace.
La storia di Tommaso è stata al centro di una presentazione del libro il 28 ottobre scorso nel Salone incontri della Parrocchia del Cafasso, a Torino, presenti due amici storici di Tommy, Pier Luigi Pezzini e Pietro Enrietti. Qui di seguito il link all’incontro, organizzato dall’associazione Newman e dall’associazione Il Cammino, nell’ambito dei festeggiamenti dei 50 anni della sua presenza in Borgo Vittoria, a supporto delkla presenza delle Suore della Carità dell’Assunzione.

La storia di Tommaso dimostra che è sempre possibile rinascere, riemergere da ciò che ci fa vivere male, che ci fa vivere l’inferno in questa terra, perché si incontra qualcosa o qualcuno che non è inferno, un qualcosa o un qualcuno che è sempre lì che ti aspetta. Ed è concreto, ha dei volti amici. La storia di Tommy è la documentazione precisa di questa dinamica. Ma c’è di più: Tommaso ha voluto mettersi a nudo. Ha voluto raccontare l’inferno che ha vissuto e il non inferno che ha pur vissuto, a tal punto che si può dire che sia accaduto nella sua vita – per usare un’immagine persuasiva – “quel gancio in mezzo al cielo” di cui Claudio Baglioni canta nella sua celebre canzone “Strada facendo”. Un gancio al quale si è sempre aggrappato e che non lo ha mai lasciato solo.
Perché ha voluto raccontare per filo e per segno tutti i drammi della sua vita? Normalmente noi abbiamo pudore, vergogna persino, di raccontare i nostri mali. Invece lui ha voluto raccontare le cose peggiori della sua vita senza timore di essere giudicato. Ma ha raccontato anche la nostalgia del bene vissuto. La radicalità del suo racconto, la crudezza, il mettersi a nudo, completamente, ha in questo libro lo scopo di far emergere con tinte ancora più forti il bene vissuto. E lo ha fatto magistralmente.

Ma non c’è solo questo. La sua vicenda, come bene ha detto Pier Luigi Pezzini, tenace e fedele amico da quasi 50 anni – alla presentazione del libro a Torino lo scorso 28 ottobre nel salone incontri della parrocchia del Cafasso, a Torino – è anche una storia di amicizia. Questa autobiografia è anche e forse soprattutto, la storia di un’amicizia. Dall’incontro, nel doposcuola delle Suore di Carità dell’Assunzione presenti nel borgo dove abitava a Torino, con suor Pinuccia, poi con Pier Luigi e, più recentemente, con l’amico Pietro. Un’amicizia rara, che ha qualcosa di grande dentro, più grande delle stesse individualità. Per lui la compagnia delle “suorine” e degli amici è stata un fattore di cambiamento, ma lo è stato anche per loro.

La storia di Tommaso è una storia drammatica, piena di ombre ma anche ricca di luce.
E’ una storia che dimostra che si può “guarire” dentro un cammino, dentro una sequela a una compagnia che non abbandona mai. L’esito di una fedeltà non è l’esito di una coerenza, ma di un’obbedienza fatta di miseria, di cadute e di rialzate, perché nessuno di noi ce la fa a stare sempre in piedi. Il male è dentro di noi, il limite è dentro di noi, abbiamo bisogno di un’appartenenza, abbiamo bisogno di un “luogo”, come cantava Giorgio Gaber:
Uomini/ Uomini del mio presente/ Non mi consola l’abitudine/ A questa mia forzata solitudine/ Io non pretendo il mondo intero/ Vorrei soltanto un luogo, un posto più sincero/ Dove magari un giorno molto presto/ Io finalmente possa dire: “Questo è il mio posto”/ Dove rinasca non so come e quando/ Il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo. L’appartenenza/ non è un insieme casuale di persone/ Non è il consenso a un’apparente aggregazione/ L’appartenenza/ E’ avere gli altri dentro di sé




