COTTINO, ragione e CUORE – L’IMPRENDITORE con il rovello della RESTITUZIONE

Giovanni Cottino intervistato da Francesco Antonioli il 15 gennaio del 2020

“Da Torino ho ricevuto tanto e restituire qualcosa è un mio dovere”. Giuseppe Cottino, grande imprenditore torinese e inventore nel 2002 della Fondazione che porta il suo nome (e della moglie, Annamaria, morta di malattia proprio in quell’anno) disse queste semplici parole, il 15 gennaio 2020, a un mio grande amico, Francesco Antonioli, che l’11 aprile scorso alle Ogr di Torino, ha presentato l’ultimo suo libro proprio a lui dedicato, dal titolo: “Il maestro silenzioso – L’imprenditore che ha saputo restituire”. Così silenzioso, l’ingegner Cottino, da aver lasciato pochissime tracce scritte del suo pensiero ma avendo inciso profondamente nei suoi testimoni il suo voler essere utile nella vita. Un desiderio vissuto prima come imprenditore nella componentistica per elettrodomestici, con il suo modo intenso di far vivere la fabbrica come comunità umana, poi come uomo che voleva fare bene il Bene e come grande interprete della moderna venture philantrophy, quella filantropia che aiuta chi aiuta coloro che sono in difficoltà. Sempre con il “rovello della restituzione alla terra che gli aveva dato tanto”, come sottolinea Antonioli nel libro: “Giovanni Cottino stava bene, poteva vivere senza problemi in un albergo come l’Hermitage a Monte Carlo, servito e riverito, continuare a mantenere l’alloggio alla Crocetta di Torino e un buon trend di vita, ma aveva il rovello della restituzione alla terra che gli aveva dato tanto.”

Francesco Antonioli

Dal 2002 al 2024 la Fondazione ha impiegato 12,1 milioni di euro in attività formative nell’ambito della trasformazione industriale (70%), nell’innovazione e nella ricerca (19%) nel sostegno alle iniziative sociali e di territorio (11%). “Sono stato un uomo fortunato, molto fortunato” ripeteva quasi come un mantra negli ultimi anni della sua vita”, aggiunge Antonioli, e questo nonostante l’ingegnere avesse vissuto anche grandi prove umane, come la morte dell’amore della sua vita, Annamaria, quella di Franca, l’amica che lo accompagnerà per un tratto di strada, o come un’operazione andata male nel 2014 che lo costringerà sulla carrozzina per il resto della vita, che si concluderà il 22 febbraio del 2022. Nel libro di Antonioli un amico prete dell’ingegner Cottino, dice di lui così: “Lui, che spaccava il mondo, era inchiodato da disabile sulla carrozzina: poteva essere arrabbiato, risentito, e pure a ragione. Invece ha continuato a dirmi che era grato alla vita”. E così, non stupisce che sul finire del suo cammino ripetesse: “Io ho lavorato per creare imprese e sviluppare nuovi prodotti, vivendo in un ambiente ricco di cultura e innovazione, la famiglia mi ha sempre aiutato. Ho dato vita alla Fondazione Cottino per aiutare le persone in difficoltà e le nuove generazioni nei campi dell’educazione, della formazione, della cultura d’impresa. Volevo dare un esempio, incentivando la cultura del dono, perché donare ripaga immensamente. Io spero che la Fondazione possa fornire carburante importante per i giovani.”

Immagine di Giovanni Cottino da giovane e qui sotto con la moglie Annamaria

Il racconto di Antonioli ripercorre gli anni avventurosi di Giovanni Cottino che diventa imprenditore a 48 anni. Costituisce la Plaset l’8 settembre del 1975, l’azienda fa pompe di scarico di lavabiancherie e lavastoviglie. Due anni dopo dà vita alla Ceset, e di lì a poco, acquisisce la Olmo completando la gamma dell’offerta del suo gruppo industriale. Arriverà il tempo in cui passerà la mano delle imprese a imprenditori internazionali per far crescere ancora di più le attività delle sue creature e si cimenterà in un’avventura che segnala ancora oggi la sua impronta imprenditoriale, affidando alla nipote Cristina Di Bari la sua vision: con una nuova azienda, la Trasma, per produrre filo di rame smaltato, componente fondamentale per supportare lo sviluppo della produzione dei motori elettrici. Oggi la nipote imita lo zio con piglio e determinazione un’azienda che fattura 120 milioni l’anno e che lavora in tutti settori, tra cui automotive ed elettromedicale.

Giovanni Cottino con la nipote Cristina Di Bari

Lo spirito imprenditoriale di Giovanni Cottino rivive nel grande stabilimento di Moncalieri, ma è nella Fondazione – presieduta non a caso dalla nipote Cristina – che trova oggi un’espressione vivente. L’ente comincia nel 2002 – lo Statuto indirizza l’impegno verso anziani, giovani e opere sociali – sostenendo la rinascita di un reparto ospedaliero. Prosegue poi la sua avventura finanziando piccole e grandi iniziative di grande impatto a Torino, trova poi uno sviluppo nelle sue policy con il contributo di Angelo Miglietta (curatore della prefazione al libro di Antonioli) che aiuta a rendere incisivo il Bene che la Fondazione fa alla società, fino ad arrivare a coronare un sogno di Cottino, quello di favorire la formazione manageriale in chiave di impatto sociale. Tutto ciò si realizza nel 2020, alle porte del terribile lockdown provocato dalla pandemia da Covid, con la nascita all’interno delle strutture del Politecnico del Cottino Social Impact Campus, un luogo – spiega Antonioli nel suo libro – da intendersi come polo internazionale di economia a impatto sociale positivo, lanciato come lab dedicato alla impact education e punto di riferimento dei worldmakers for social impact, dei leader e degli imprenditori del futuro. Ecco allora che dal palco della presentazione del Campus, Cottino risponderà così ad Antonioli. “E’ un sogno che diventa realtà, attraverso cui trasmettere la passione per la cultura imprenditoriale dal chiaro impatto sociale e generare un riscontro sostenibile concreto per il futuro”.

Cottino e l’ex rettore del Politecnico di Torino il giorno della firma per la costruzione del Cottino Learning Center

Resta ora da completare il secondo step di questo sogno, quel Cottino Learning Center che sta per essere realizzato nel perimetro del Politecnico di Torino (che lo guiderà) e che proporrà nuove metodologie di apprendimento. “Nel corso della mia carriera imprenditoriale”, disse un giorno Cottino, “ho capito i punti di forza che un manager deve avere per confrontarsi al meglio sul mercato e, in un mondo sempre più competitivo e internazionalizzato, non possiamo trascurare una formazione completa e soprattutto gli scenari futuri in continua crescita ed evoluzione.” Giovanni Cottino esulterà sicuramente, nei misteriosi luoghi dove oggi riposa, quando il Centro sarà aperto. Come quando nella primavera del 2019 andò a visitare la scuola di Loro Piceno, colpita dal terremoto nelle Marche e ricostruita con i contributi della Fondazione. Allora, ricorda l’attuale direttore della Fondazione, Giuseppe Dell’Erba, sprizzò di felicità: “Vederlo cantare, circondato dai bambini e commosso, felice come non mai per quella realizzazione, fu una grande sorpresa. Ero abituato a vederlo più pacato, meno incline a questi cedimenti molto umani.” Per Dell’Erba, Cottino è stato davvero un changemaker: “Ci ha fatto capire che anche un uomo della sua generazione è in continua trasformazione.”

Una tipica posa dell’ingegner Cottino
La scuola di Loro Piceno ricostruita con gli aiuti della Fondazione Cottino

Dell’Erba sta realizzando la svolta manageriale che gli chiese il “fondatore”, con la guida sicura della nipote Cristina. Dopo la scomparsa dell’ingegnere, dice Antonioli, la Fondazione e il Cottino Social impact Campus hanno ricevuto una ulteriore spinta a essere ancora più proattivi. Nel frattempo è stata acquisita la società Istud e con essa il Campus darà vita, spiega Cristina Di Bari, “alla prima business school in Italia i cui percorsi formativi saranno arricchiti da visione, valori e obiettivi di impatto sociale”. Tanto sta ancora nascendo e tanto ancora nascerà da quel “rovello di restituire”, che ha dominato la vita matura dell’uomo Giovanni Cottino.

In questa e nelle altre foto alcuni momenti della presentazione del libro di Antonioli su Giovanni Cottino